Spese processuali, vittoria della causa, compensazione, motivazione
aggiornamento a cura del
dr. marcello viganò
Con la recente sentenza n. 23993 del 19 novembre 2007
la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il principio fondamentale, sancito
dalla nostra Carta Costituzionale, del diritto al riconoscimento delle spese
legali a favore del cittadino che abbia impugnato una cartella esattoriale. La
decisione assume fondamentale importanza poiché può, anzi deve, essere
analogicamente applicata anche agli innumerevoli ricorsi avverso le sanzioni
amministrative del Codice della Strada.
È vero, infatti, come vi sia una tendenza oramai
diffusa e costante da parte dei Giudici di Pace di compensare le spese legali
anche laddove il riscorso contro la sanzione venga accolto.
Infatti, se il
giudice riconosce l’illegittimità della sanzione elevata, altrettanto dovrà
riconoscere al cittadino ingiustamente sanzionato, il diritto al ristoro delle
spese legali che questi ha necessariamente dovuto sostenere, non essendo esperto
di norme sostanziali e procedurali. Lasciare a carico del cittadino il costo
delle spese legali, significherebbe comunque sanzionarlo anche in caso del
riconoscimento del proprio diritto all’annullamento della sanzione stessa.
Afferma la Cassazione che “Il potere
di compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente
esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in
sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché, come
il mancato esercizio di tale potere non richiede alcuna motivazione, così il
suo esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente
motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia
accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere,
se non da una motivazione esplicitamente “specifica”, quanto meno da quella
complessivamente adottata a fondamento dell’intera pronuncia, cui la decisione
di compensazione delle spese accede, onde la mancanza assoluta di motivazione,
implicita od esplicita, della decisione di compensazione delle spese nei sensi
sopra descritti integra gli estremi della violazione di legge denunciabile e
sindacabile anche in sede di legittimità”.
LA
SENTENZA
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 19 novembre 2007, n. 23993
(Presidente Settimj – Relatore Correnti)
Fatto
e diritto
M.
C. impugna per cassazione la sentenza n. 112/05 con la quale il G.d.P. di
Albenga, pur avendone accolto l'opposizione proposta avverso la cartella
esattoriale n. 10320031002562970/001 notificata il 23.12.03, ha, tuttavia,
compensato le spese del giudizio ritenendo che la possibilità di stare in
giudizio personalmente comporta che resta a carico del soggetto che vuole
avvalersi di un difensore la relativa spesa.
Non
svolge difese la Sestri spa.
Con
unico motivo denunzia violazione degli artt. 90 ss., 82, 83, 112, 132 c.p.c.
per l'avvenuta compensazione delle spese.
Le
censure meritano accoglimento.
Ciò,
nonostante il prevalente indirizzo giurisprudenziale espresso, in materia, da
questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 17.4.04 n. 5405, 28.11.03 n. 17962) che,
anche recentemente (Cass. 26.4.05 n. 8623), ha ribadito come, in materia di
spese processuali, il giudice possa disporre la compensazione anche senza
fornire, al riguardo, alcuna motivazione, e senza che - per questo - la
statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità,
atteso che la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale o
parziale, delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito,
sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di
giusti motivi; come, in particolare, il sindacato del giudice di legittimità
sia limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale
le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa o
che siano addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da
inficiare, per la loro inconsistenza od evidente erroneità, lo stesso processo
formativo della volontà decisionale.
Non si può, infatti, omettere di considerare come,
se pure in ipotesi particolari qual è il caso di specie - laddove il cittadino
è stato assoggettato ad esazione fiscale senza che ne ricorressero i
presupposti in fatto, come pur riconosciuto dal giudice a quo, ed ha
dovuto far valere in giudizio il proprio diritto soggettivo accollandosene le
relative spese e, tuttavia, lo stesso
giudice ha compensato le spese in dispositivo senza neanche accennare, in
motivazione, alla ricorrenza di quei "giusti motivi" la cui
valutazione lo stesso art. 92 c.p.c. espressamente pone quale presupposto della
pronunzia di compensazione, giusti motivi obiettivamente non ipotizzabili per
alcun verso nel caso concreto e non sostituibili dalla possibilità di
difendersi personalmente - la compensazione delle spese venga a rappresentare
una determinazione del tutto arbitraria e si traduca in una lesione
dell'effettività della tutela giurisdizionale.
Ed è anche il caso di evidenziare come con altre pronunzie recenti - e
pluribus, Cass. 15.3.06 n. 5783, 25.1.06 n. 1422 - questa Corte abbia
ritenuto illegittima la compensazione delle spese anche ove, in casi analoghi a
quello in esame, siano stati genericamente allegati "giusti motivi"
laddove dalla motivazione della sentenza nessun giusto motivo potevasi desumere.
Nella
specie, il giudice ha compensato le spese solo in relazione alla possibilità di
difendersi personalmente, senza considerare che il cittadino, con l'adire il giudice e con il farsi assistere
innanzi ad esso da un professionista,
ha esercitato dei diritti espressamente attribuitigli dall'ordinamento e
garantiti dalla Carta fondamentale; onde risulta in contrasto con gli uni e con
l'altra - oltre che con la razionale obiettiva considerazione delle difficoltà
cui va incontro il cittadino stesso, inesperto non solo delle norme sostanziali
e processuali, ma anche degli uffici e delle loro prassi, imputare a colpa il
mancato esercizio della facoltà di difendersi personalmente innanzi al giudice,
facoltà che, proprio in quanto tale, implica l'esclusione dell'obbligatorietà
della condotta alternativa per espressa previsione del legislatore, e pertanto
non è consentito al giudice sanzionare indirettamente e di fatto il detto suo
mancato esercizio attraverso l'accollo delle spese.
Per il che sembra, piuttosto, preferibile, nei casi
quali quello di specie, aderire a quella giurisprudenza, se pure minoritaria ma
recentemente ribadita da Cass. 1422/06 e 5783/06, per la quale il potere di
compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente esercitato
da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in sentenza,
la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché, come il mancato
esercizio di tale potere non richiede alcuna motivazione, così il suo
esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente
motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia
accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere,
se non da una motivazione esplicitamente "specifica", quanto meno da
quella complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la
decisione di compensazione delle spese accede, onde la mancanza assoluta di
motivazione, implicita od esplicita, della decisione di compensazione delle
spese nei sensi sopra descritti integra gli estremi della violazione di legge
(art. 92, secondo comma c.p.c.), denunciabile e sindacabile anche in sede di
legittimità.
Si
possono anche richiamare, a proposito dell'effettività della tutela
giurisdizionale, le pronunzie del giudice delle leggi nn. 419/95 e 26/99,
mentre è da sottolineare come la tesi sopra accennata trovi riscontro anche
nella motivazione della pronunzia 395/04 che non ha potuto estendersi al merito
della questione in ragione dell'evidente inammissibilità della sua
prospettazione nel caso concreto.
L'impugnata sentenza va, dunque, annullata, e la causa, di conseguenza, rimessa
per nuovo esame ad altro giudice del merito, che s'indica in diverso magistrato
del medesimo ufficio del G.d.P. di Albenga, cui è anche demandato, ex
art. 385 c.p.c., di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata
sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altro
magistrato dell’ufficio del G.d.P. di Albenga.